Ordinazione diaconale, Solennità Annunciazione del Signore

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Ordinazione diaconale, Solennità Annunciazione del Signore
Basilica Santa Maria sopra Minerva (25 marzo 2022)
(Is 7,10-14.8-10; Eb 10,4-10; Lc 1,26-38)

Cari Frati Dominicani, caro fra Giovanni, cari fratelli e sorelle!

La Solennità dell’Annunciazione non abbisogna di un’omelia. Tutto parla: la bellezza della Creazione, la festività della Liturgia, la Parola di Dio, la Presenza del Signore, in cui ci dà ciò che è il contenuto del giorno. Ciò che significa questa solennità è il cuore del Credo della Chiesa: Dio si è fatto carne dalla Vergine Maria. Pregando le parole et verbum caro factum est oggi ci inginocchiamo, perché sappiamo: Questo è la nostra salvezza. Già nel Giudaismo, il 25 marzo si vedeva come giorno della Creazione del mondo, e così la stessa data è diventato anche giorno della concezione di Gesù, con cui la Creazione comincia di nuovo.

Per tali motivi sembra che la festa di oggi sia una data provvidenziale per l’ordinazione diaconale di un fratello dell’Ordine dei Predicatori, Fra Giovanni Ferro O.P.

Nella scorsa settimana ho fatto gli esercizi spirituali in Abruzzo. All’ingresso della casa dove si svolgeva il ritiro c’era uno stemma con il motto sottoscritto: per servire servire. Passando ogni giorno là, queste parole mi hanno ispirato nella preparazione di questa omilia.

Per servire servire: È proprio così, il ministero del diacono è innanzitutto un servizio, ma un servizio che tuttavia sembra strano, superfluo, persino contraddittorio in un tempo nel quale scompaiono non solo esteriormente i lavori servili, ma contro il servire viene mossa un’obiezione molto più profonda. Il servire appare come una manifestazione del dominio dell’uomo sull’uomo, dunque un attacco all’uguaglianza, alla pari dignità e alla libertà degli uomini. È vero, purtroppo, che ci sono stati abusi di potere, discriminazioni ingiuste, misconoscimento della uguale dignità donataci dal Creatore. Tuttavia la risposta da parte nostra a questi fatti spiacevoli e inaccettabili non può essere l’abolizione del servire, perché noi siamo creati in modo tale da aver bisogno gli uni degli altri, da poter vivere solo in dipendenza l’uno dall’altro. In una parola: esistere senza servire non è possibile!

Chiediamoci sinceramente: se non vogliamo più stare a servizio gli uni degli altri che cosa sarebbe l’alternativa? Metterci a servizio di meccanismi e sistemi anonimi che ci legherebbero in modo misero e meschino gli uni agli altri? Ma così diventiamo vittime di un meccanismo e un sistema, diventeremmo proprio schiavi, e in più dovremmo pagare questo con un impoverimento delle relazioni umane e anzitutto della fiducia che porta gli uomini a stare in relazione reciproca. Conviene, di più, occorre volgere lo sguardo a Gesù Cristo, che si è fatto Servo per tutti, per tutti noi. Lui, il Signore del mondo, è divenuto servitore. Serve a tavola i suoi e lava loro i piedi. Trasforma gli uomini esercitando il dominio sotto forma di un servizio; col servire e col farsi servitore di tutti come il Signore. Così egli ci dà il coraggio di servire in libertà, e nella stessa libertà di servire ci dà il coraggio di acquisire l’autentica dignità e libertà del fedele. Cristo è Servitore, vuol dire Cristo è Diacono.

Cari fratelli e sorelle!

L’ordinazione diaconale come tappa dell’ordinazione sacerdotale non è solo frutto di un’antica tradizione. Un sacerdote che smettesse di essere diacono, non compirebbe più nel modo giusto neppure il suo ministero sacerdotale. E un vescovo che non restasse diacono, non sarebbe più un vero vescovo. E un papa che non fosse diacono, non sarebbe più un vero papa. Servire, essere diacono è e rimane una dimensione di ogni ministero ecclesiale, perché il Signore, che riassume in sé tutti questi ministeri, è divenuto egli stesso nostro diacono e lo rimane sino alla fine dei tempi.

Secondo la Tradizione della Chiesa il servizio principale del diacono è l’annuncio del vangelo. Sì, il diacono deve essere annunciatore della Buona Novella. Deve porgere ai fedeli il pane della Parola, il pane che dà loro quel senso del quale l’uomo vive non meno che del pane terreno. Il diacono deve essere annunciatore: ma egli può trasmettere in modo vivo e convincente il Vangelo solo se egli stesso è in ascolto del Vangelo. Nella misura in cui egli ascolta interiormente, sarà messaggero, potrà trasmettere la voce di Dio.

Se osassimo pensare che sono le nostre qualità, i nostri meriti e le nostre capacità a farci riuscire, ci viene detto: “no”, nessun’uomo di per sé è adeguato alla Parola di Dio e così grande da poter essere portatore di essa. Ma proprio questo, che ci umilia, ci dà anche coraggio. Infatti, se guardiamo alla nostra persona, dovremmo sempre abbatterci, dovremmo chiederci: “Signore, perché proprio io? Ve ne sono di più adatti”. Necessariamente arriviamo al punto di dire come i Profeti Elia e Geremia: “Signore, ne ho abbastanza. Lasciami stare! Non voglio più saperne di questo servizio!” La nostra propria persona non è mai sufficiente. Ma proprio per questo possiamo rischiare, pieni di fiducia, perché è Lui che ci ha voluto e ci guida. L’umiltà a cui in questo modo egli ci conduce genera coraggio; perché significa che non dobbiamo più preoccuparci di noi stessi, non dobbiamo più chiederci cosa ne sarà di noi, ma possiamo camminare senza preoccupazioni, mettendo in secondo piano noi stessi, nella fiducia in colui che ci ha voluti e ci conosce così come siamo.

Caro Fra Giovanni!

Il ministero diaconale non è un’occupazione che è possibile tenere distinta dalla propria persona. Non è un lavoro da sbrigare per un certo numero di ore per poi ritornare alla sfera privata. È un impegno che ci coinvolge in ciò che abbiamo di più personale, che reclama noi stessi, che esige da noi proprio la disponibilità ad assumere nel più profondo di noi questo vangelo e il suo servizio, riconoscendo che vale la pena anche di soffrire per esso. E solo chi ha accettato in prima persona la sofferenza può comprendere anche la sofferenza altrui, può veramente consolare e guarire.

Il secondo grande servizio del diacono è la caritas, la carità: quel servizio che, nell’amore di Gesù, si rivolge alle necessità degli uomini a noi affidati. La vocazione alla caritas di Cristo significa da un lato un ancoraggio al grande mistero dell’Eucaristia nel cuore della celebrazione del Sacrificio del Salvatore; e significa la capacità e la disponibilità ad accogliere con il Signore le necessità degli uomini contemporanei, ad andare loro incontro, consolando, sanando, condividendo l’amore di Cristo. Nella definizione del diaconato va incluso il coinvolgimento personale e la disponibilità a soffrire personalmente per il Regno di Dio. Perciò nella Chiesa antica, al diacono era affidato il servizio del calice e del sangue di Gesù Cristo, come segno dell’amore trasformante del Figlio di Dio.

Quando gli Apostoli scelsero sette uomini, con i quali nacque il ministero diaconale nella Chiesa, lo fecero per affidare loro il servizio della carità nella Chiesa. Da allora la caritas significa realizzare esemplarmente la fede e l’amore di Cristo, ed è sempre rimasta, nel corso della storia, il segno distintivo del ministero diaconale. Come nostro Signore stesso non ha posto solo segni e parole, ma ha messo in pratica il suo messaggio nella realtà della vita, così per la Chiesa, il fare la caritas non è mai solo un’occupazione secondaria, che si inventa in aggiunta, così da poter avere voce in capitolo in qualche parte nel mondo. Il realizzare esemplarmente l’amore di Cristo, piuttosto, è parte integrante del Sacramento, è al cuore dello stesso attuarsi della Chiesa. È vera e propria parte del ministero ordinato, in quanto mantiene presente nel tempo il servizio sacerdotale e diaconale di Gesù Cristo.

Caro Fra Giovanni!

Sta qui la grandezza del diaconato: il diacono non esercita un qualunque mestiere provvisorio, ma rende presenti nel nostro tempo la volontà e il dono eterno di Dio, attua nel tempo la manifestazione e la luce del suo Figlio, Gesù Cristo. Il diacono lo fa ricadere sul mondo, senza peraltro che il mondo divenga per questo un Paradiso. Dobbiamo camminare quaggiù nella valle, ma in modo da portare la luce in cui appare la bontà di Cristo, quella luce che vince il male che ci indica la strada e illumina la nostra vita. Essere diacono significa affidarsi al “si” di Gesù e dare così agli uomini il coraggio del ”si”, il coraggio della fedeltà e il coraggio della fiducia del quale abbiamo così tanto bisogno in un mondo ricolmo di diffidenza. E ancora, essere diacono significa mettersi in un rapporto di servizio, significa affidarsi a qualcuno, e affidarsi per sempre. Possiamo affidarci a Lui perché egli è perenne fedeltà, dalla quale promanano il coraggio e la pace della fedeltà. Amen.